EMDR e Flash Technique

EMDR e Flash Technique

La Flash Technique (FT) si è sviluppata originariamente in seguito alla ricerca decennale di Philip Manfield volta a sviluppare una strategia utile per la fase di preparazione dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), tecnica terapeutica utilizzata per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress post-traumatico.

L’obiettivo è quello di “titolare” i ricordi fortemente soverchianti, così come avviene in chimica per agenti che vengono rilasciati gradualmente l’uno nell’altro evitando deflagrazioni pericolose.  Allo stesso modo nella FT, ci si avvicina gentilmente, “goccia dopo goccia”, all’esperienza traumatica, per ridurre e contenere l’attivazione emotiva del paziente e permettergli di acquisire un maggiore senso di efficacia e controllo sul ricordo traumatico.

Ciò permettere ai pazienti di tollerare ricordi intensi senza bloccarsi, sentirsi sopraffatti o dissociarsi. La FT risulta dunque assai utile in presenza di resistenze psichiche particolarmente ostinate nell’accedere pienamente ad un ricordo originario altamente disturbante.

emdr

 

 

La FT rappresenta un intervento integrativo all’interno di quel filone di approcci terapeutici in cui si le sensazioni fisiche e le tracce del trauma sul corpo sono ritenute prioritarie rispetto alla storia di ciò che è accaduto. Prima di lanciarsi nella elaborazione delle memorie traumatiche (o a volte addirittura al posto dell’elaborazione) i pazienti sono aiutati a sviluppare le proprie risorse interne, per poter accedere in modo sicuro alle sensazioni e alle emozioni sopraffacenti.

Manfield ha importato i termini “titolazione” e “pendulazione” dal metodo psico-fisiologico per il trattamento e la prevenzione dei traumi sviluppato da Peter Levine a partire dagli anni ’70 – la Somatic Experiencing (SE) – basato sull’osservazione dei mammiferi selvatici che, sebbene abitualmente esposti a pericoli, raramente restano traumatizzati; meccanismi biologici innati di recupero permettono loro di tornare alla normalità dopo un’esperienza estremamente “forte” in cui è stata messa in pericolo la loro stessa vita.

L’intervento terapeutico in tutte le fasi del modello trifasico del trauma psichico è inteso dalla SE come una oscillazione lenta, avanti e indietro nel tempo, qui e ora, sopra e sotto la soglia della finestra di tolleranza, con lo scopo di accedere alle sensazioni interne e ai ricordi traumatici, ampliando la finestra (P. Levine, 1997).

Nella versione originale della FT, ai pazienti veniva chiesto di pensare al target per una periodo di tempo sempre più breve, finché non erano in grado di tollerare l’emozione generata dall’esposizione. Esposizioni estremamente brevi a ricordi traumatici sembravano infatti accelerarne significativamente l’elaborazione da parte del cervello (Manfield et al. 2021).

Successivamente Manfield ha eliminato le esposizioni brevi, così da non dover nemmeno più chiedere ai pazienti di richiamare il ricordo disturbante. La FT è diventata da allora ancora più veloce ed efficace. Inoltre è una tecnica che si adatta molto bene all’uso nelle terapie online, poiché ai pazienti viene chiesto di tamburellare (tapping) sulle proprie gambe, rispecchiando i gesti  svolti contemporaneamente dal terapeuta. Utilizzo online a patto ovviamente che il paziente sia sufficientemente stabile e che abbia sufficienti risorse per poter tollerare il processo terapeutico.

L’approccio terapeutico ispirato  alla Control-Mastery Theory (CMT)

L’approccio terapeutico ispirato alla Control-Mastery Theory (CMT)

La Control-Mastery Theory è una teoria psicopatologica e psicoterapeutica elaborata da Joseph Weiss e Harold Sampson e verificata empiricamente dal “San Francisco Psychotherapy Research Group” negli ultimi quarant’anni. Questa meta-teoria, elegantemente al confine tra approccio psicodinamico e approccio cognitivo, permette al terapeuta di sviluppare una precisa formulazione del caso clinico, che guida il trattamento psicoterapeutico partendo dai processi mentali inconsapevoli del paziente e dalle sue esperienze nell’infanzia, le quali spesso esitano in credenze e convinzioni patogene irrazionali, stabili nel tempo e determinanti nell’esordio e nel mantenimento del disturbo psichico. 

La CMT assume che l’essere umano – sia a livello consapevole che inconsapevole – fa di tutto per adattarsi nel migliore dei modi al suo ambiente, cerca di sentirsi al sicuro rifuggendo da situazioni che valuta come pericolose e, in virtù di tali considerazioni, organizza il suo comportamento e regola l’accesso dei vari contenuti mentali (emozioni, pensieri, ricordi) alla consapevolezza. Ogni persona, quindi, fin dalla nascita cerca attivamente di conoscere la realtà che la circonda e di riflettere su di essa, costruendosi internamente – per astrazione dalle esperienze più o meno traumatiche che vive – un insieme di regole (credenze), consce e inconsce, con cui forma un modello operativo mentale, una sorta di mappa interna che utilizzerà per muoversi nel mondo. CMT

Lo sviluppo di queste credenze è significativamente influenzato dal rapporto con i genitori, i fratelli e le principali figure di riferimento dell’infanzia e dell’adolescenza. La sofferenza psicologica è pertanto espressione di particolari tipi di credenze, dette “patogene”, che originano da esperienze dolorose del passato – traumi da “stress” o da “shock” – le quali spingono l’individuo ad associare il perseguimento di obiettivi sani, piacevoli e desiderabili, a pericoli per se stesso o per le persone a lui care. In virtù del pericolo che esse prospettano, l’individuo è fortemente spaventato dall’idea di sfidare le proprie convinzioni patogene. Tuttavia, data la sofferenza che esse provocano, il paziente è anche fortemente motivato a ricercare prove che ne attestino la falsità, al fine di superarle e di raggiungere uno stato di benessere e soddisfazione.  

In tal senso, secondo la CMT, il progresso nella terapia dipenderebbe non tanto dalle specifiche tecniche utilizzate dal clinico, quanto dalla percezione di pericolo o di sicurezza che il paziente sperimenta all’interno del setting clinico e dal contesto relazionale terapeuta-paziente. Per questo motivo, il professionista deve essere soprattutto attento nel monitorare e nel cercare di prevenire nel paziente lo sviluppo di emozioni di pericolo, adattando sapientemente i propri interventi alle caratteristiche individuali e alle credenze specifiche della persona che ha di fronte. Chiedendo un aiuto psicologico, gli individui metteranno inconsciamente alla prova le loro credenze patogene nel rapporto con il clinico (control), sperando che quest’ultimo li aiuti a divenirne consapevoli, a rassicurarli della loro falsità e a fornire esperienze emotive in grado di riparare le ferite lasciate dai traumi patiti. In tal modo i traumi del passato potranno essere padroneggiati (mastery) e non risulteranno più di ostacolo nel perseguimento dei propri obiettivi di crescita.  

Bibliografia di riferimento

Joseph Weiss (1993) Come funziona la psicoterapia, Torino: Bollati Boringhieri.

Francesco Gazzillo (2016) Fidarsi dei pazienti. Milano: Cortina.