La Control-Mastery Theory è una teoria psicopatologica e psicoterapeutica elaborata da Joseph Weiss e Harold Sampson e verificata empiricamente dal “San Francisco Psychotherapy Research Group” negli ultimi quarant’anni. Questa meta-teoria, elegantemente al confine tra approccio psicodinamico e approccio cognitivo, permette al terapeuta di sviluppare una precisa formulazione del caso clinico, che guida il trattamento psicoterapeutico partendo dai processi mentali inconsapevoli del paziente e dalle sue esperienze nell’infanzia, le quali spesso esitano in credenze e convinzioni patogene irrazionali, stabili nel tempo e determinanti nell’esordio e nel mantenimento del disturbo psichico.
La CMT assume che l’essere umano – sia a livello consapevole che inconsapevole – fa di tutto per adattarsi nel migliore dei modi al suo ambiente, cerca di sentirsi al sicuro rifuggendo da situazioni che valuta come pericolose e, in virtù di tali considerazioni, organizza il suo comportamento e regola l’accesso dei vari contenuti mentali (emozioni, pensieri, ricordi) alla consapevolezza. Ogni persona, quindi, fin dalla nascita cerca attivamente di conoscere la realtà che la circonda e di riflettere su di essa, costruendosi internamente – per astrazione dalle esperienze più o meno traumatiche che vive – un insieme di regole (credenze), consce e inconsce, con cui forma un modello operativo mentale, una sorta di mappa interna che utilizzerà per muoversi nel mondo.
Lo sviluppo di queste credenze è significativamente influenzato dal rapporto con i genitori, i fratelli e le principali figure di riferimento dell’infanzia e dell’adolescenza. La sofferenza psicologica è pertanto espressione di particolari tipi di credenze, dette “patogene”, che originano da esperienze dolorose del passato – traumi da “stress” o da “shock” – le quali spingono l’individuo ad associare il perseguimento di obiettivi sani, piacevoli e desiderabili, a pericoli per se stesso o per le persone a lui care. In virtù del pericolo che esse prospettano, l’individuo è fortemente spaventato dall’idea di sfidare le proprie convinzioni patogene. Tuttavia, data la sofferenza che esse provocano, il paziente è anche fortemente motivato a ricercare prove che ne attestino la falsità, al fine di superarle e di raggiungere uno stato di benessere e soddisfazione.
In tal senso, secondo la CMT, il progresso nella terapia dipenderebbe non tanto dalle specifiche tecniche utilizzate dal clinico, quanto dalla percezione di pericolo o di sicurezza che il paziente sperimenta all’interno del setting clinico e dal contesto relazionale terapeuta-paziente. Per questo motivo, il professionista deve essere soprattutto attento nel monitorare e nel cercare di prevenire nel paziente lo sviluppo di emozioni di pericolo, adattando sapientemente i propri interventi alle caratteristiche individuali e alle credenze specifiche della persona che ha di fronte. Chiedendo un aiuto psicologico, gli individui metteranno inconsciamente alla prova le loro credenze patogene nel rapporto con il clinico (control), sperando che quest’ultimo li aiuti a divenirne consapevoli, a rassicurarli della loro falsità e a fornire esperienze emotive in grado di riparare le ferite lasciate dai traumi patiti. In tal modo i traumi del passato potranno essere padroneggiati (mastery) e non risulteranno più di ostacolo nel perseguimento dei propri obiettivi di crescita.
Bibliografia di riferimento
Joseph Weiss (1993) Come funziona la psicoterapia, Torino: Bollati Boringhieri.
Francesco Gazzillo (2016) Fidarsi dei pazienti. Milano: Cortina.